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la cover di Join the cousins |
Il nove marzo del 2005 in via Cadolini, a Milano, nel locale chiamato Goganga, i Kech presentavano di fronte a un centinaio di persone il loro secondo album, il primo pubblicato con l'etichetta fiorentina Black Candy Records. "Join the cousins" non è forse il miglior disco in cui ho suonato ma è senza dubbio quello a cui sono più affezionato ed è il disco per cui ognuno dei Kech aveva una grande aspettativa. E' vero che nessuno di noi aveva la minima ambizione di fare il musicista e vivere con i proventi di questo lavoro ma è altrettanto vero che essere stati desiderati e scelti da un'etichetta molto ambiziosa che oltre ad accollarsi le spese della registrazione voleva fare "le cose in grande", aveva suscitato in noi un discreto entusiasmo. Spinti da questa motivazione ogni membro del gruppo ci mise tutto l'impegno per realizzare al meglio quella registrazione. Nel post "Click & Friends" contenuto in questo blog racconto brevemente le suggestioni di quei giorni. L'ho riletto poco fa e questa celebrazione del decennale, questo piccolo lascito che faccio al blog di cui sono autore, mi fa ricordare soprattutto cosa non funziono'. Se del mancato uso del metronomo ne ho appunto già parlato ho voglia di spiegare cosa si era inceppato durante quella registrazione. Qualche anno prima di quel marzo del 2005 avevamo provato a fare un demo semi professionale al Bips Studio, uno degli studi più attivi a Milano negli anni '90. Un disco come "Germi" degli Afterhours solo per fare un esempio fu registrato proprio in quello studio. Il fonico che ci aiuto' si chiama Max Lotti e si occupa ancora oggi di stare dietro a un mixer. Paolo Mauri, oltre ad essere amico di Max ci aveva lavorato a lungo in quelle stanze e aveva prestato la sua opera per band importanti in quel florido periodo, con qualche conoscenza comune eravamo entrati contatto con lui e senza nessuna particolare raccomandazione Mauri detto "Flistones" aveva espresso il suo parere positivo su di noi dando il suo consenso ad occupare il Bips consegnandoci fisicamente le chiavi dello studio. La registrazione a me piacque molto nonostante grandi rattoppi e soluzioni che nascondevano il vero spirito dei Kech (a quei tempi avevamo ancora le basi registrate su mini disc e un tastierista) la confusione generale spinse tutti i miei compagni di viaggio a decidere che quel suono non ci rappresentava quel demo quindi non andava pubblicato. Solo il brano "Elettronic" finì in fondo alla tracklist del nostro primo ep "A lovely place". Avevamo lasciato un conto in sospeso col lavoro che aveva fatto Max e anche lui, per certi versi, lo aveva con noi. Ci teneva che il suo nome e le sue capacità uscissero stampate su un album di una band che a suo modo diceva di apprezzare ed era arrivato il momento di dimostrarlo. Mi fa sorridere parlare oggi di pressione nei confronti di quel traguardo da raggiungere ma a quei tempi è corretto definire con quel termine l'aria che si respirava fin dai primi minuti in cui entrammo in studio, non più al Bips ma -sempre a Milano- al JRS studio in un seminterrato in zona Piazzale Corvetto.
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Max Lotti il fonico di Join the cousins |
Tre quarti delle dodici canzoni che componevano la tracklist di JTC le avevamo rodate in almeno ottanta concerti, molti degli amici che ci seguivano dal vivo erano stufi di sentirle e anche noi di suonarle. In poche parole stavamo producendo un disco già sentito e risentito. La padronanza con cui suonavamo quei brani, la dimestichezza con le strutture che sostenevano le canzoni, ci rendeva sicuri dei nostri passi ma all'ultimo momento decidemmo di includere quattro brani che stavamo mettendo a punto da poche settimane e che non avevamo quasi mai eseguito dal vivo. Si trattava di: The Cousins, I don't need one, Wine is fine e Half Jealous. La prima e l'ultima di queste quattro aprivano e chiudevano il disco. Se per Half Jealous (il titolo fu ispirato da Giovanna dal piccolo registratore d'epoca che usava in sala prove per ricordarsi le melodie chiamato Gelosino) il lavoro coordinato da Marco Ferrara ebbe i suoi problemi di cui ho già parlato in "Click & Friends" per le altre facemmo l'errore di essere troppo precipitosi nel misurarci con la registrazione di canzoni che, anche se non erano più bozzolo, non erano ancora diventate farfalla. Perdemmo molto tempo per farle rendere in maniera decente e il fatto di aver scelto di partire fin dal primo giorno proprio da quelle tracce ci fece perdere ore e giorni preziosi scoraggiandoci rapidamente. Nessuno di noi aveva una grande considerazione delle proprie capacità, effettivamente modeste, e quella che doveva essere una manciata di giorni da ricordare allegramente in un contesto professionale divenne lo spunto per essere sempre più nervosi e per rinfacciarci, una volta concluso il lavoro, le scelte sbagliate fatte in quelle ore di riprese. Max non aveva le doti del coach e con i suoi silenzi e le sue perplessità inespresse non fece altro che aumentare la nostra insicurezza. Ma come, le canzoni le sappiamo a memoria e ora ci facciamo prendere da tanti dubbi e da scelte mal condivise? Accadde proprio questo e nei giorni in cui incidemmo l'album una ballata country abbastanza spedita e convincente come Clifford si presentò alle nostre orecchie con un' andatura claudicante, le nervose e graffianti 44 times (ricordo ancora che Andrea Dusio su Rockerilla definì il mio drumming 'ruggente') e Dinner Guests che spesso usavamo per scuotere il nostro set dal vivo divennero incerte, le parti che distinguevano la strofa dal ritornello sembravano appiccicate con la colla. La danzereccia Pop Team che frequentemente sceglievamo per aprire i concerti finì caramellata dai tanti effetti applicati al banco, l'anonima In a basement fu messa lì a far numero, il bel pianoforte a coda registrato con gusto in post produzione da Tonnie, il nostro bassista dei tempi, confusero l' idea alla base della spiritosa Nu Beetle. Tonnie, al secolo Tommaso Perego il nostro sognante e unico vero musicista, cugino di Nicola, coinvolse attivamente in studio anche il trombettista che da più di un anno ci aiutava e caratterizzava dal vivo, Davide Marzocchi, un amico taciturno ma anche sempre pronto alla battuta se opportunamente stimolato. Tonnie e Nicola, i cugini, due teste diverse che solo a parole avevano, in studio e nella vita, gli stessi intenti. Il titolo dell'album l'ho proposto io a Giovanna e piacque a tutti in seguito ad un equivoco. La canzone The Cousins iniziava con una strofa in cui Giovanna diceva un termine diverso ma simile nella fonetica alla parola cousins e io che conosco poco l'inglese fraintesi non solo il senso del termine ma anche di tutto il testo. Mentre aspettavamo di suonare ad un festival in provincia di Grosseto, di fronte a un piatto fish & chips, le dissi: "figo quando citi i cugini nella nuova canzone". Lei scoppio a ridere e racconto' quello che le avevo appena detto a tutti gli altri che erano a testa china sul loro piatto di fritto. Io rimasi un po' perplesso e replicai: "Cousins! Perchè ridete? Scusate l'ignoranza, ma in Inglese cugini non si dice mica Cousins? Join the cousins! Unisciti ai cugini! No?". Altre risate generali: preso.
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il registratore Geloso |
Di quella tracklist ricordo come ben riuscita la sesta traccia intitolata Uh-Uh perchè nei cori facevamo appunto quel verso da scimmie. Nei crediti viene attribuita a Marco Ferrara una collaborazione su quel brano, in realtà più che un contributo al basso ci diede la giusta iniezione di fiducia per farci capire che la strada era giusta e con la terminologia appropriata ci insegno' l'importanza di quelle cose che si chiamano tra gli addetti ai lavori: intro,climax, bridge, fill, loop, special. Noi fino ad allora li avevamo sempre non chiamati dicendoci confusamente: "quando si arriva in quel punto lì si fa così, quando poi siamo in quel passaggio là facciamo questa cosa qua". Coldground è la mia preferita dell'album e per questo motivo merita un discorso a parte e funge da bandiera piantata sul terreno conquistato dopo una lunga e sanguinosa battaglia. Fino all'inizio del 2004 i Kech non avevamo mai scritto un brano lento, rilassato, una canzone che definirei dolce, senza spigoli. Arrivo' il momento di comporla ed io ero in una fase di totale invasamento per le ritmiche e le atmosfere dei Coldplay. E' proprio grazie a questo gruppo che le è stato affibbiato questo il titolo, per anni sulle scalette c'era sempre scritto Coldplay al posto di Coldground. Comporla e realizzarla fu una fatica immensa in sala prove, io acceleravo in maniera imprevedibile e poco puntuale ed il fatto che non fosse proprio il nostro territorio abituale rendeva molto ripido il percorso da fare. Io avevo stampata in mente la potenza percussiva del brano dei Coldplay "In my place" e facevo un casino bestiale sul charleston. Riuscimmo a definire la struttura, ad allenarci su quelle atmosfere ma fino all'ultimo momento non era certo che quel brano finisse nel disco. "C'entra come il cavolo a colazione" diceva Nicola confondendosi con la merenda, a dire il vero lui insisteva con questo motto modificato a dovere. Diceva: "no, no, colazione, così vi fate tutti un'idea precisa di quanto è sgradevole". Alla fine a Max non era dispiaciuta ascoltandola nei provini e ci disse: "vediamo come viene, se fa schifo la bocciamo".Coldground fu l'ultima canzone ad essere registrata e tutta l'idea romantica che avevo io per vivere i giorni in studio si palesò tra quelle mura alle due di un sabato pomeriggio. Io rompevo le scatole perchè volevo creare l'atmosfera, cercare di scaldare l'ambiente con qualche dettaglio, mi perdevo in mille cazzate che però si rivelarono utili per la registrazione di Coldground. Ci tenevo che si mangiasse al ristorante tutti insieme, che si facessero i brindisi, che nella pause si mangiassero insieme dolcetti e bon - bon, liquirizie, marzapane, che ci si attrezzasse con un thermos di caffè, tutte cazzate in effetti ma che nella mia ingenuità potevano servire per creare il collante e vivere meglio e con leggerezza quei momenti. Spingevo per fare delle sovraincisioni. Venivo garbatamente snobbato con la scusa che si stava solo perdendo tempo. Andammo a pranzo in un ristorante cinese vicino allo studio e il clima era festoso, rilassato, avevamo praticamente finito tutte le riprese di batteria e per via delle oscillazioni del ritmo avevamo aggiunto con fatica il basso suonato in regia. Con molta cura avevamo finito tutte le chitarre, le voci, i cori. Max aveva già iniziato un pre mix e il suono dello studio paragonato al disco precedente fatto in cantina (Are you safe?) faceva una gran figura. Restava solo Coldground da registrare, probabilmente non sarebbe nemmeno finita nel disco e quindi i giochi erano praticamente fatti. Tornammo in studio appesantiti dal cibo cinese e intorno a me iniziavo a vedere i segni dello smontaggio generale. Chiesi a Max di abbassare le luci che illuminavano la stanza di ripresa. Erano una decina di faretti alogeni sparsi disordinatamente in tutta la stanza, lui smorzo' il dimmer fino quasi a spegnerle. Suonammo batteria, basso e chitarra acustica nelle penombra praticamente in diretta con Giovanna che ci cantava in cuffia dalla regia. Max mi fece fare delle sovraincisioni di piatti. Il brano venne al primo colpo e risulto' anche senza particolari oscillazioni di velocità. Erano bastati piccoli accorgimenti e un senso di leggerezza come uno spirito che veleggia nell'aria uscito da una lampada. Era uscito il genio contenuto nel disco. Pensai che avremmo dovuto rifare tutte le canzoni in quel pomeriggio e lo proposi con un tono a metà tra il serio e il faceto. Dentro di me ero convinto di quello che avevo appena proposto ma ovviamente fu impraticabile. Smontammo tutto e ce ne andammo in attesa di tornare dopo qualche settimana per fare tutti i mix definitivi.
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Una delle foto più utilizzate a quei tempi con la band al completo, in fondo Davide Marzocchi e Tommaso Perego |
Caparezza in quel periodo cantava "il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista" e Join the cousins rappresenta perfettamente quella strofa. La stampa specializzata non recensì bene il disco come era invece successo con il precedente. La rivista Rumore solo per fare un esempio ci stronco' con decisione. Ho sentito dire spesso a tanti artisti veri che se tornassero indietro registrerebbero da capo e in modo diverso anche i successi che hanno fatto la loro fortuna. Io pur non considerandomi artista mi accontenterei di rifare JTC in quel pomeriggio dopo il pranzo al ristorante cinese. Ci furono anche delle cose buone, quell'album e la spinta della Black Candy in rapida espansione permisero ai Kech di entrare nel booking della Dna Concerti, una delle agenzie più attive in quel periodo, ci consentì di fare alcune esperienze indimenticabili come suonare sul palco dell'Heineken jammin' festival a Imola e suonare a Urbino di fronte alla fortezza Albornoz per il festival Frequenze Disturbate subito prima di gruppi come Sons & Daughters, Sophia ed Echo & The Bunnymen. Suonammo dal vivo in alcuni programmi televisivi da MTV a Match music fino a Rock tv. In qualche occasione soggiornammo spesati in alberghi a quattro stelle. In quegli anni si cementò l'amicizia che mi porta ancora oggi sul palco con Davide, ci definivamo i manovali del gruppo quelli addetti al carico e allo scarico degli strumenti, alla guida del furgone durante gli spostamenti più lunghi e faticosi e a fare delle lunghissime chiacchierate al telefono quando qualcosa non andava per il verso giusto. Nicola e Giovanna, per scherzare, li chiamavamo simpaticamente gli Eurythmics. Join the cousins è l'unico disco della nostra breve produzione dove la timidezza nel presentarci passò in secondo piano. Realizzammo noi stessi l'artwork che poi fu sfacciatamente copiato da un gruppo brianzolo, i Grenouille. Nel booklet mettemmo le nostre foto e quelle degli amici più stretti che ci seguivano assiduamente, aggiungemmo i ringraziamenti ed anche un paio di testi. Stampammo locandine in quadricromia, dei biglietti da visita con la data della presentazione e un caldendario sul retro e nella data zero allestimmo un banchetto che era apparecchiato con il seguente merchandising: un ep, due album, uno split in 45 giri (co - prodotto con la Excelsior - etichetta olandese che produceva i Caesar- da un lato il brano Pop Team e dall'altro la canzone intitolata Alcatraz fino ad allora un inedito per il gruppo olandese) due tipi di magliette, decine di spille diverse, adesivi col nome del gruppo. In una sera vendemmo tutto il materiale incassando da quella merce il triplo rispetto al cachet che avevamo pattuito e quella stessa notte andammo a letto sognando di avercela fatta.
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la cover dello split Kech/Caesar, Pop team-Alcatraz |