mercoledì 23 dicembre 2015

Silenzio

Grazie Lola! Da quando sei arrivata ho imparato ad apprezzare il silenzio.

Lola @ Parco di Monza

sabato 5 dicembre 2015

Venne il giorno

Per suonare uno strumento musicale sarebbe opportuno avere per prima cosa la voglia di apprendere e di esercitarsi, un minimo di predisposizione alla musicalità, costanza, abnegazione, spirito di iniziativa, ricerca del divertimento anche quando esteticamente grandi sollazzi non ce ne sono, tempo e soldi da spendere. Ovviamente questo elenco è soggettivo, in alcuni casi potrebbe essere anche parziale e riduttivo, c'è da considerare per esempio quali aspettative si ripongono nel termine "suonare".

Di recente ho visto il film Whiplash e nel mio caso è bene specificare che non ho mai desiderato diventare il primo batterista di un'orchestra. Dimenticavo un fattore determinante quando ci si siede su uno sgabello per suonare la batteria: la predisposizione al ritmo. Si può imparare a tenere il tempo anche se non si ha un metronomo al posto del cervello ma uno dei primi stimoli che porta un individuo ad avvicinarsi a piatti e tamburi (dopo la voglia di fare casino) è sicuramente uno spiccato senso del ritmo e la capacità di coordinarsi. Il mio battito all'interno dei Pocket Chestnut ha iniziato a perdere colpi e a mancare di coordinazione circa cinque mesi fa. Questo impegno, seppur limitato in termini di ore settimanali da dedicare alle prove e ai concerti, mi ha fatto gradualmente disaffezionare da tutto quello che riguarda il suonare in un gruppo, in poche parole ho perso il ritmo.

Dopo cinque anni trascorsi nella band arriva il momento di farmi da parte e lasciare che i Pocket continuino senza di me. La decisione è stata ponderata e solo il tempo mi dirà se ho fatto bene oppure no. In questo preciso momento le impressioni sono positive. Sento di aver dato tutto quello che potevo dare, continuare ad insistere contro voglia quando si parla di un divertimento è una forzatura inaccettabile.
Ho provato a grattare questo senso di disagio e resistere ma iniziavo a scorticarmi. Molte volte con i Pocket abbiamo risposto ad interviste che siamo un gruppo di amici che suona e si diverte, all'esterno abbiamo dato questa versione che però ognuno di noi al proprio interno sa che rappresenta una risposta di facciata.
Di questa esperienza mi rimarranno comunque molte cose belle da raccontare e le tirerò fuori periodicamente andando a ritroso nei ricordi come spesso mi piace fare. Lo farò a voce seduto a un tavolo di un pub come una vecchia rockstar mancata che le spara grosse, oppure per iscritto qui sul blog dove quando posso alimento la quantità di ricordi accumulati in questi anni di attività.

All'infaticabile Tum con la sua insaziabile voglia di provare godimento ogni volta che sale su un palco, alla mancanza di entusiasmo del bravo Paolo, capace nonostante il nostro scarso livello di viversi la compagnia e far emergere le canzoni del gruppo superando i tanti limiti tecnici dei suoi membri, a Pol che nella sua corazza ha accolto spesso i miei turbamenti con grande disponibilità ad ascoltarmi e a trovare soluzioni e infine a Stefano che quando è stato dei nostri nei concerti ha portato melodia e calore al suono dei Pocket, rivolgo un ringraziamento che parte dal profondo del cuore. Se il futuro è tutto da scrivere il passato vissuto con loro sul palco e in sala prove non sarà mai dimenticato.

Ho commesso la leggerezza di postare su Facebook un breve messaggio per comunicare questa mia decisione ed ho ricevuto dagli amici che seguono la band molte risposte in cui sono dimostrati sorpresi e dispiaciuti. Un immenso grazie anche a tutti voi che mi avete sempre incoraggiato.


28/11/2015 sul palco dell'Acropolis di Vimercate

venerdì 27 novembre 2015

41

Oggi è il mio compleanno numero quarantuno. Il primo giro negli "anta" non è stato troppo fortunato almeno dal punto di vista della salute, mia e degli affetti a me più cari. Buona parte dei problemi sono stati superati con successo e vado avanti con un sorprendente ottimismo.

lunedì 23 novembre 2015

Marillion: Clutching at straws

L'ultimo album dei Marillion con Fish alla voce intitolato "Clutching at straws" mi ha insegnato innanzitutto che i concept album non li facevano solo gruppi come i Pink Floyd e i The Who.


 Quando uscì sul mercato questo 33 giri avevo tredici anni e da quando ne avevo dieci -per osmosi oppure "chiamiamola" vicinanza di camera- grazie alla passione di mio fratello maggiore Massimo e di alcuni suoi coetanei per questa band anglosassone, mi ero abituato ad apprezzare un modo di cantare insolito, impostato e slabbrato nello stesso tempo. Quello stile, altamente evocativo nei testi e nel modo di interpretarli ha la firma di Derek William Dick e per moltissimi esperti non è altro che la copia di quello che Peter Gabriel e soci avevano già proposto anni prima con i famosissimi Genesis. Questo parere limitato e superficiale sulla bocca di chi conosceva molto bene la produzione dei più blasonati Collins e soci e molto meno quella dei presunti copioni, l'ho sempre fortemente contestato. I Marillion sono un gruppo che per i collezionisti di musica può appartenere a un genere circoscritto fatto di ascoltatori figli dei del neo progressive rock, sfigati coi brufoli non del tutto metallari ma attratti dalle borchie sul giubbotto e amanti dalle copertine variopinte dei dischi con disegni che  raccontano una storia prima di appoggiare la puntina sul disco. Per me è troppo limitante considerarli dei cloni. Attraverso il suo frontman gli appassionati dei Marillion, hanno conosciuto cosa significa avere un cantante con carisma e possono vantarsi di essere membri di un' associazione immaginaria che ricorda la fratellanza dei nati sotto il segno di Fish. Ho incontrato persone che portavano tatuato sui loro deltoidi il logo del cantante usato poi nella sua carriera solista, ho conosciuto persone alle quali bastava sapere che fossi un estimatore del lungagnone scozzese per considerarmi amico per la vita. Ho potuto constatare quell'unione che porta uomini e donne a considerare Fish una divinità e quando c'è qualcosa che non va mettere su un disco della produzione anni '80 dei Marillion per gridare baldanzosi al perfetto sconosciuto: "Molto bene, ti presento il mio amico Fish, è alto due metri e ora te ne canta quattro, io faccio i cori sulla sua voce, poi ne riparliamo."

Carnevale 1990 vestito da giullare come Fish nei tour dei Marillion
 "Clutching at straws" mi ha anche insegnato che i gruppi finiscono, possono continuare a produrre con il medesimo nome ma senza lo stesso cantante inseguendo le logiche mercenarie del business discografico. Questo lavoro è stato il solco creato tra quello che i Marillion erano negli anni '80 e quello che sono diventati nei venti e più anni successivi di attività. Sono stati uno dei primi gruppi ad esempio ad aver sperimentato il crowfunding con risultati eccellenti considerato che si parla di un esperimento datato almeno nove anni fa ed oggi sembra essere, almeno dalle nostre parti, la prassi per molti artisti in evidente parabola discendente. Sono stati anche uno dei gruppi che per scrollarsi di dosso il paragone con l'era di Fish ha ceduto a compromessi commerciali discutibili e considerati a dir poco imbarazzanti dagli amanti di questa musica.

I Marillion nel 1987.  Questo quadretto è una foto ufficiale della Emi che adornava negli anni novanta e duemila le pareti del mio pub di fiducia, il Sun Moon di Via Manara a Monza. Quando i nuovi proprietari hanno rinnovato le stampe alle pareti ho preteso che questa immagine mi fosse affidata come ricordo di tante serate passate al tavolo che sceglievo sempre come prediletto per la vicinanza alla fotografia della band

 
 Ancora oggi "Clutching at straws" è un album con il quale mi rilasso e reagisco ai malumori, magari in alcuni tratti mi intristisco un po' a rileggere la storia che ne lega le canzoni; un racconto pregno di alcol e dipendenze, di fallimenti e insuccessi con i quali posso in altri contesti fare i conti anche io, ma che alla fine mi porta sempre ad amare quel bestione dalla voce e dal carisma inimitabile. L'adorazione per Fish resta indelebile, un affetto ed un senso appartenenza a una casta che mi ha portato nel 2007 a festeggiare a Milano il ventennale dell'uscita di questo disco che porterei con me nella valigetta dei ricordi in qualsiasi vita per insegnare a tutti che, prima di esprimere un giudizio sui Marillion, forse bisognerebbe ascoltarli per anni con la dedizione che merita qualsiasi artista che possa sembrare la copia di qualcun altro, solo così ci si può rendere conto invece della loro unicità.


   

domenica 8 novembre 2015

Lola

Da quando sono andato a vivere per conto mio ho sempre desiderato possedere un cane femmina. Quando abitavo con i miei genitori arrivo' un amico straordinario: Bruce un rottweiler impetuoso e possente. La sua vita con noi fu intensa ma non lunghissima, dal mese di maggio del 1992 fino al novembre del 2002, si sobbarcò un trasloco dall'appartamento di via Sacconi a Monza dove sono cresciuto fin da neonato per poi trasferirsi con noi a Biassono nella villetta che i miei hanno abitato fino al 2010. Furono anni stupendi quelli vissuti con Bruce al nostro fianco anche se tante giornate le ricordo molto impegnative per via del forte carattere di un cane da guardia che, seppur abbastanza equilibrato, ci mise spesso a disagio per la sua ovvia attitudine a difendere -con tanta potenza- i suoi padroni e la proprietà. Nel pieno del suo sviluppo Bruce arrivo' a pesare quasi sessanta chili, non un filo di grasso di grasso addosso, solo una impressionante massa muscolare. A causa di un gioco con lui finito non benissimo porto sopra il labbro destro un'indelebile cicatrice che mi costò tre punti di sutura e mi impedisce di portare un baffo perfetto sul lato sinistro.

Mia madre e mio padre quando Bruce decise di andare nel paradiso dei cani seguirono dopo qualche tempo il consiglio di accogliere un nuovo amico. Nel 2003 si presentò George alla porta ed è il Labrador bianco più dolce che abbia mai conosciuto. Qui sul blog ne ho parlato in qualche occasione, vive con i miei ma ogni tanto li supporto tenendogli compagnia e portandolo nel mio appartamento quando non puo' seguire i suoi padroni. George mi ha fatto scoprire una razza decisamente meno impegnativa del Rottweiler, fedele come tutti i migliori amici dell'uomo ma con tante qualità apprezzabili giorno dopo giorno. Tra le tante caratteristiche dei Labrador spicca l'incontenibile desiderio di fare felice il padrone con tanto affetto che, ancora oggi, nonostante sia debilitato da artrosi  e vecchiaia, il buon George continua a trasmetterci senza contenersi.

Dopo tanto pensare, sabato scorso è arrivata Lola, la mia Labrador Retriever color cioccolato. Questa prima settimana è stata una delle più stancanti della mia vita, una delle più impegnative sotto tanti punti di vista e l'arrivo del cucciolo ha mitigato tante preoccupazioni che in questo anno abbastanza maledetto continuano ad inseguirmi talvolta afferrandomi per il collo. Riesco a divncolarmi molto bene ed ora insieme alla tenacia di mia moglie nel combattere i problemi di salute, perchè di questo principalmente si tratta, a lottare siamo in tre con una esuberante amica al nostro fianco.

Sei nata il 15.12.2015, arrivi da Gassino Torinese dall'allevamento Acque Lucenti della bravissima Irene Teppa, ti chiami "Capo Indiano Yuki delle Acque Lucenti" e noi ti abbiamo ribattezzato Lola: benvenuta nella tua nuova famiglia e grazie per tutta la gioia che ci darai!

   

martedì 13 ottobre 2015

David Gilmour @ Arena di Verona 15.09.2015

Potrei scrivere tantissime parole riguardo a quasi un mese fa, 15 settembre 2015 all' Arena di Verona quando da spettatore pagante ho assistito al concerto di uno dei miei più grandi idoli, David Gilmour voce e chitarra dei Pink Floyd. Potrei partire per esempio dal fatto che il live di nove anni fa tenutosi in una doppia data al Teatro degli Arcimboldi a Milano l'ho preferito sia per la scelta dei brani che per la presenza di Richard Wright sul palco, di tutti i Pink Floyd il mio preferito in assoluto. Ho avuto modo di raccontare tante volte ad alcuni amici quanto sia stato toccante quella sera di marzo nel 2006 quando tutto il teatro si alzo' in piedi con i pugni alti ad esultare quando Gilmour decise di presentare la band e arrivo' il turno del mitico, mai dimenticato, storico tastierista dei Floyd. In quel momento pensai spontaneamente di alzarmi per tributare un lungo applauso al signor Wright. Me ne sarei fregato se qualche membro del servizio d'ordine mi avesse detto di stare seduto e di contenermi, me ne sarei infischiato se un qualunque signorotto snob mi avesse bollato come un esagitato infiltrato tra le poltronissime, avrei urlato come dopo un goal  segnato dall'Italia nella finale dei mondiali di calcio. Feci proprio così sgolandomi fisicamenrte e fu grandissima la sorpresa nel vedere intorno a me che a tutti i presenti era venuta la stessa idea. Una folla esultava non per il protagonista della serata, non al termine del concerto -dove una standing ovation sarebbe stata prevedibile- bensì nel bel mezzo della scaletta prendendosi tutto il tempo necessario per ringraziare Wright di essere lì. Ripensarci ancora oggi che Richard Wright non c'è più accresce ancora di più la convinzione che puo' bastare un solo particolare per rendere indimenticabile una serata.
Potrei soffermarmi su tanti dettagli del concerto veronese in cui Gilmour ha fatto ascoltare in anteprima rispetto all'uscita ufficiale nei negozi una manciata di brani dal suo ultimo disco "Rattle that lock". Il ritorno di "mister screen" per esempio, parlo del tipico schermo rotondo contornato di luci utilizzato spesso in passato dai Pink Floyd durante i loro tour mondiali come elemento scenografico. Perchè non dilungarsi sulla scelta dei brani in scaletta? Potrei chiedermi e polemizzare su come mai mancasse nella setlist un brano come Echoes, oppure del perchè su un colossso come Run Like Hell fosse necessario sfottere Waters (ha suonato i suoi ultimi concerti con gli occhiali scuri forse per un prolema alla vista) facendo indossare a tutta la band un paio di occhiali da sole. La polemica più efficace per un blog potrebbe soffermarsi sulla questione riguardante il perchè solo in Italia i biglietti di un concerto così atteso non siano stati gestiti dai promoter con l'assegnazione di un posto nominale di modo da arginare le sporche manovre di chi lucra prepotentemente su eventi così rari. Queste e altre cose si possono però scovare in tanti altri posti, a chi passa di qui ed ha avuto la pazienza di leggere fino alla fine queste righe voglio lasciare l'immagine di Francesco, Andrea e Stefano insieme a me poco prima di entrare in platea. I volti sorridenti del gruppo con cui ho sempre sognato di suonare questo tipo di musica e che tra tanti dubbi e difficoltà ce l'hanno fatta ad essere della serata. I Primodraft, quattro quarantenni che non passavano qualche ora insieme da dieci anni finalmente felici di essersi riuniti non tra le mura di una sala prove ma sotto un cielo di stelle per condividere ancora una volta un'immensa passione.


 I Primodraft entrano al concerto di Gilmour,  al mio fianco Stiv, Andre e, leggermente tagliato, Stoon




      

lunedì 21 settembre 2015

Cap de Barbaria

Molte persone che non sono mai andate a Formentera possono pensare che la meta preferita dai calciatori sia solo spiaggia, posa e moda. C'è tanto di tutto questo in agosto, in parte grazie ad un amico molto ricco che ci ha coccolato per due giorni io e Vivi lo abbiamo vissuto e ci siamo lasciati conivolgere dal jet set balneare fatto di costossimi paccheri con aragosta a pranzo e profumati gin tonic al tramonto. Formentera ha anche un lato molto selvaggio e pacificamente romantico che è cio' che ho apprezzato in questa settimana di vacanza. Si tratta del lato ovest dell'isola dove si trova il faro di Cap de Barbaria. Anche la parte sud con il faro di El Pilar de la Mola è molto suggestivo ma se un giorno non dovreste trovarmi, se qualcuno dovesse chiedersi che fine ho fatto potrei essere lì ai piedi del faro di Cap de Barbaria insieme a qualche nostalgico hippie che suona il tamburo mentre il sole si immerge nel mare e ci fa sentire piccoli e indifesi di fronte alla bellezza della semplicità di un tramonto.

Il faro di Cap de Barbaria uno dei posti candidati al mio buen retiro
 

lunedì 7 settembre 2015

Pocket @ Festival Magre Sponde, Brebbia (VA)

Al rientro dalle vacanze è stato molto piacevole verificare che il repertorio dei Pocket era ancora ben allenato nonostante un periodo di stop durato un mese abbondante. L'occasione per ritrovarci a ripassare i brani è stata la partecipazione del gruppo a un festival molto carino chiamato "Magre Sponde Festival" organizzato con cura e passione a Brebbia un piccolo paese in provincia di Varese sulla strada che porta al Lago Maggiore. Il mio disincanto e la voglia di dedicare sempre meno tempo al gruppo si è scontrata con una serata che rende giustizia all'impegno che far parte di un gruppo comporta. Su you tube grazie a uno spettatore di nome GionniBello c'è un montaggio di alcune canzoni compreso il delirio finale durante il quale, sul palco oltre al gruppo principale della serata (i catalani Her Little Donkey) si è unito anche il fonico che mi ha fatto compagnia alla batteria divertendosi come un bambino.

Si puo' vedere qui: https://www.youtube.com/watch?v=HwH-Xp4glI4 

Il set di batteria utilizzato al festival Magre Sponde a Brebbia (Va)



 

giovedì 6 agosto 2015

La cura

Nel lungo viaggio interiore che sto percorrendo per curare gli sbandamenti inevitabili della vita sto imparando a non fare troppe previsioni sul futuro. La gestione delle ansie e delle preoccupazioni è faticosa ma con il metodo giusto e con la conoscenza dei lati più profondi di noi stessi esistono infinite possibilità per sentirsi adeguati dentro questo mondo in continua evoluzione. Nel post "un ex fantasma" descrivo quello che mi è successo qualche mese fa, ne parlo liberamente e in modo schietto semplifico il significato di trovarsi in difficoltà. Pur trattandosi di situazioni non invalidanti certe tempeste lasciano comunque dei segni. Una delle principali motivazioni a scavarmi dentro e reagire ai problemi è stato capire da dove provenisse il malessere e una volta scovato provare a trasformarlo in benessere. Riconoscere i bisogni primari prima di tutto e metterli al centro di ogni cosa: bere, mangiare, dormire e riprodursi. Tornare a vedere il mondo in maniera primitiva è stato uno dei punti che nel percorso di coaching ha fatto da molla per far saltare dal basso verso l'alto, dalle caviglie fino al cervello, il modo di affrontare la vita con leggerezza. Le mie paturnie lavorative, in questo lungo periodo di crisi, sono le preoccupazioni di molti ma non possono prendersi tutta l'energia che a quaranta anni posso ancora sprigionare. Francesca Maiotti mi ha insegnato un metodo, le famiglie dove applicarlo e come esercitarmi ricordandomi sempre che parte tutto dalla mente e, giocando con le parole, mi ha fatto capire che molto spesso la mente ci mente. Da essa dipendono le emozioni, queste si evolvono e condizionano le relazioni che a loro volta influiscono sul fisico e come ultimo anello di questa catena modificano lo spirito. Quando mi è stato chiesto di immaginare come avrei descritto lo spirito ho pensato al genio della lampada che sotto forma di fumo si innalza nell'aria, da questa figura è nata l'idea di opporre al senso di pesantezza dei miei pensieri la leggerezza dello spirito.

Tra giugno e luglio ho letto un libro uscito qualche anno fa, Open, la storia del tennista Andre Agassi. E' stata una lettura molto appassionante, ho trovato spunti per farmi forza nel mio percorso. Nel periodo in cui il campione stava attraversando l'ennesima crisi che lo porterà di lì a poco alla separazione da Brooke Shields, proprio nel bel mezzo di un viaggio in Sudafrica col tentativo di medicare le ferite nel rapporto, Agassi conosce Mandela il quale una mattina, rivolgendosi al campione e altri ospiti presenti a un ricevimento, dice: "dobbiamo tutti avere cura gli uni degli altri- è questo il nostro compito nella vita. Ma dobbiamo anche avere cura di noi stessi, il che significa che dobbiamo prendere con cura le nostre decisioni, intrattenere con cura i nostri rapporti interpersonali, riflettere con cura su ciò che diciamo. Dobbiamo gestire la nostra vita con cura per evitare di diventare delle vittime".

Ripenso spesso a questo passo del libro, l'ultima volta prima di scriverne qui nel blog l'ho fatto domenica sera mentre tornavo da una breve vacanza in montagna che ha rappresentato per me uno dei pochi momenti dove mi concedo due giorni consecutivi di stacco dal lavoro nel fine settimana. Con alcuni amici conosciuti negli ultimi dieci anni grazie a internet e alla passione per i gruppi Marlene Kuntz e Massimo Volume ho passato momenti molto intensi immerso nei paesaggi del Cadore. Non ero mai stato nelle Dolomiti Bellunesi fino ad oggi, il Vajont con la sua drammatica storia ancora palpabile a più di cinquanta anni dalla tragedia mi ha fatto riflettere e grazie all'atmosfera che si sprigiona tra buoni amici ho imparato ancora una volta quanto l'amicizia sincera sia curativa anche quando nasce in un luogo virtuale che poi diventa magicamente reale.

Rat Pack 2015 @ Dolomiti Bellunesi da sinistra a destra (con i nostri nickname): Orso,Hybris,Ranx,Zuppetta,EmJokes
 

lunedì 13 luglio 2015

L'estate dei Pocket Chestnut

Due concertini mi hanno allietato caldissime serate in compagnia delle castagne. Questa stagione stiamo suonando dal vivo molto poco, rispetto allo scorso anno non c'è da fare neanche un confronto. Si potrebbe pensare che l'effetto "Big sky empty road" si stia esaurendo ma al nostro livello il fatto di avere un disco appena pubblicato non fa una grande differenza tra promuoverlo ancora ad un anno e mezzo di distanza da un' uscita che poi a tutti gli effetti c'è stata, ma solo dagli scatoloni visto che è autoprodotto. Forse ci siamo fatti vivi con i soliti contatti che ci aiutano a trovare qualche serata un po' tardi rispetto al passato, oppure non lo abbiamo proprio fatto e certe opporunità non nascono da sole se non opportunamente solleticate. A me personalmente va benissimo così. Paolo non sta passanbdo un bel momento con il papà che per motivi di salute non se la passa bene, Tum esce da una storia sentimentale finita male ed è profondamente sballottato, Pol ha intorno a sè la solita corazza inattaccabile che ne delimita le emozioni ed io sono alle prese con questa nuova testa che combatte gli sbandamenti imponendosi positività. Non sempre queste convivenze tra caratteri diversi sono una passeggiata all'aria fresca. In queste settimane abbiamo fatto qualche incontro e ci siamo detti cosa si potrebbe fare in futuro ma non è uscita una strategia semplice da attuare. Il pericolo che avverto è quello che già in passato ha acceso la lampadina rossa dell'attenzione preannunciando la prossima distruzione di tutto il giocattolo. Abbiamo delle canzoni nuove che mi piacciono molto, non sono tante ma in tutto tra finite, quasi finite ed in attesa di un colpo di genio che le finisca, sono arrivate al numero sei e tutte mi gasano molto. Ho già vissuto questa situazione con altri gruppi, si mette in pista del materiale nuovo, ci si balla intorno, io da dietro i tamburi ne sento l'efficacia, gli arrangiamenti che si fanno più elaborati, i suoni che migliorano rispetto ai precedenti, le idee che da individuali diventano il frutto del pensare da parte di tutti poi, come se niente fosse, scoppia il palloncino pieno di elio, i toni si fanno scuri e non c'è più niente da ridere. Mi è capitato con i Kech, con i Primodraft con La resina e quando ero ragazzo con quelli che da Overjets sarebbero poi diventati Puzzle, senza di me. Mi auguro che passi serenamente e senza strascichi questo momento perchè almeno dal vivo le soddisfazioni arrivano anche quando le premesse non sono le migliori.

Pocket + guests@Fermento Sonoro 2015, nel giardino nascosto, Milano
Il comitato di quartiere degli abitanti di via Bussola a Milano ha organizzato un festival ripulendo un piccolo spazio verde dal totale abbandono e auto finanziandosi molti volontari hanno organizzato un grazioso festival di due giorni. I Pocket hanno suonato sabato 20 giugno quasi al tramonto. Senza fare nessun soundcheck ci siamo portati a casa un set abbastanza buono, l'attenzione e gli applausi insieme a una fitta colonia di zanzare ad attaccarci non sono mancate. E' stato anche il primo concerto in quartetto dopo qualche data suonata in cinque con Stefano ai fiati e ci è servito per ritrovare il mestiere di sopperire alla mancanza di melodia mettendoci un po' di grinta in più del solito.

Pocket Chestnut @ Como
L'esperimento si è ripetuto qualche settimana dopo, precisamente il cinque luglio a Como a due passi dal lago e dallo stadio Sinigaglia. Nei giardini che separano gli spalti dallo specchio d'acqua che si affaccia verso nord il festival Always Hop ci ha addirittura voluti come headliner a causa di un forfait dell'ultimo momento. Preceduti da due gruppi che hanno massacrato la pazienza e l'udito degli ascoltatori, non pochi vista la bella location, il giorno di festa -domenica- e la ricerca del fresco in una serata dove il termometro non è mai sceso sotto i trenta gradi. Abbiamo fatto un figurone con la nostra musica semplice e spensierata. Ho visto parecchie persone ballare acclamandoci sugli stacchi come se conoscessero i brani. A mezzanotte passata c'era ancora voglia di Pocket Chestnut e la richiesta di avere un bis era talmente sincera che abbiamo ringraziato i presenti con l'esecuzione di un brano inedito tra quelli in lavorazione di cui parlavo all'inizio di questo post.  

 

sabato 27 giugno 2015

Niente di nuovo sotto il sole

 
Con l'estate alle porte mi è tornata la voglia di assistere ai concerti estivi. Mancavo da qualche anno ad appuntamenti di grande richiamo e dopo aver guardato cosa offrivano i vari promoter sono caduto nella solita e ripetitiva scelta di recarmi a concerti di artisti che ho già visto e rivisto in passato. In solitaria ho deciso di partire dall'edizione di Sonisphere 2015. E' stata  la mia prima volta ad un festival metal, attratto dal cartellone che inseriva in programma i tanto amati Faith No More nell'unica data italiana del loro tour mondiale. Ero andato principalmente per godermi lo show di Mike Patton e compagni ma visto il costo del biglietto (€ 70) e il gran dispendio di energie sotto quaranta gradi fin dal primo pomeriggio mi sono trattenuto ad ascoltare i Metallica, veri protagonisti del festival. Una notevole sorpresa mi attendeva: lo show di non più giovani superstar del metallo pesante che per due ore mi hanno devastato orecchie e cassa toracica con una potenza di suono impressionante è stata una rivelazione, non pensavo di divertirmi così tanto. Mi trovavo a distanza considerevole ma grazie ai maxischermi e a una regia ben studiata le evoluzioni di Lars Ullrich erano più che gradevoli, sembrava di assistere a un  tutorial di batteria metal. Poi mi sono divertito molto ad osservare il pubblico, stipatissimo anche a due km dal palco. Mi ha colpito il loro calore e il grande coinvolgimento anche del vasto comparto femminile. Solo un aspetto mi è sembrato invece inquietante: uscendo durante i bis per  non perdere l'ultimo treno della metropolitana, ho notato che tantissimi spettatori avevano assistito al live nascosti dietro alle colonne delle casse. Alla base di queste alte torri posizionate neanche troppo ai lati della marea umana erano stati montati altri schermi, più piccoli ovviamente rispetto a quelli del retropalco e centinaia di persone si erano sobbarcati quella giornata di caldo e polvere per guardare un concerto come se fossero in tv. 
 

Ore 16 nello spazio esterno del Forum di Assago in attesa dei Faith no More sotto il sole cocente

Mike Patton sale sul palco per ultimo preceduto dalla sua band, sono passate da poco le 19, il sole è ancora alto ma l'afa è più sopportabile. La scenografia è stata allestita dal personale vestito completamente in bianco, una miriade di gelatai ha sistemato con cura un tendone da cinema sullo sfondo (anch'esso bianco) e una cinquantina di vasi di fiori a coprire  casse, monitor e amplificatori. Purtroppo l'acustica non è delle migliori e si sente in particolare sui brani meno spinti. I suoni profondi dei colpi sferrati dietro i tamburi da Mike Bordin rimbalzano da una parte all'altra dell'area concerti rovinando le esibizioni delle ballate classiche del gruppo "Evidence" e la famosissima cover dei Commodores "Easy". Tutti i FNM appaiono decisamente imbolsiti fisicamente ma musicalmente in forma, il  set durato circa 1h e 30 sarà ricordato per l'efficacia della scaletta che pesca da tutti gli album compreso l'ultimo "Sol Invictus" ma anche per le solite scorribande di Patton che insulta in italiano il pubblico (cantate coglioni! coglioni milanesi che siete voi! su "Easy")  poi chiede: "oggi è il vostro Indipendence Day giusto? E' la festa della repubblica vero? E voi ve ne state qui ad un concerto rock? Patetici!" prima di insegnare al tastierista Roddy il termine "cazzarola" con grandi difficoltà del povero malcapitato nel ripetere il termine si lascia andare anche a qualche parola di conforto "attendete tutti i Metallica eh? Beh anche noi!". Sulle note della classica "We care a lot!" saluta e ringrazia con ben augurante "alla prossima".

Setlist del concerto:  Motherfucker, be aggressive, caffeine, evidence, epic, sunny side up, digging the grave, midlife crisis, sparation anxiety, the gentle art of making enemies, easy, spirit, last cup of sorrow, ashes to ashes, superhero. Bis: matador, we care a lot.

I Faith no More in azione


Lo show dei Metallica

Il 15 di giugno è stato il turno dei miei amatissimi Primus, un'altra esclusiva per l'Italia, l'unica data nel nostro paese del trio americano  con la formazione che ha visto il ritorno dietro i tamburi del geniale Tim "Herb" Alexander  dopo aver risolto un serio problema cardiaco. Ho visto suonare i Primus due volte in vita mia ma sempre orfani del batterista che con Claypool e Lalonde ne ha fatto la storia. Il Carroponte di Sesto San Giovanni ha fatto da cornice a questo spettacolo equamente diviso tra vecchi brani storici e la fedele riproduzione della colonna sonora del film "The chocolate factory". In questo live il problema è stato l'opposto rispetto al festival Sonisphere, parlo dei volumi veramente bassi. Per la legge che tutela i cittadini dai decibel troppo alti, ai presenti è toccato assistere ad un concerto suonato "sottovoce". In queste condizioni è inevitabile che la potenza cedesse il passo alla nitidezza ma essendo i Primus non proprio un gruppo di cui si apprezza questo aspetto sono tornato a casa un po' deluso.


Primus & the fungi ensemble @ Carroponte

Il giorno successivo al concerto dei Primus sarebbe stato il turno degli Afterhours al Monza Rock Festival ma un nubifragio pomeridiano ha convinto gli organizzatori a cancellare la data.

Ho atteso con impazienza la data d'esordio del tour estivo dei Marlene Kuntz dedicato al ventennale di Catartica, il primo album della loro lunga produzione. Lo spazio esterno dell'elegantissima Villa Tittoni di Desio ha ospitato circa settecento appassionati del gruppo di Cuneo e qualche curioso invogliato dalla bella serata e dal biglietto economico. Tra queste centinaia ce n'erano una dozzina con i quali, il giorno successivo al live, ho consumato un pranzo per veri esperti marlenici. Si tratta di  amici con i quali ho partecipato per un decennio ad un  forum chiamato prima "Ceicarni" e poi "La mischia gaia". Un luogo virtuale dedicato ai Marlene Kuntz grazie al quale ho scritto e condiviso tantissimi momenti di pura adorazione per questo gruppo. Ritrovarsi dopo tanto tempo, con i forum ormai chiusi e sentirsi ancora una specie di famiglia di grandi estimatori è un'emozione unica, difficile da descrivere, una sensazione speciale va oltre una semplice amicizia virtuale, un modo per accorciare le distanze visto che le città da dove provenivano questi amici sono le seguenti: Aosta, Parma, Vicenza, Pordenone, Bergamo, Lodi.

Marlene Kuntz @ Villa Tittoni, Desio



domenica 21 giugno 2015

PX

La mia Vespa PX 125

Non sono mai stato un fanatico delle due ruote però da ragazzo ne ho fatta di strada a bordo di motorini e scooter. Era il modo più rapido in alternativa alla bicicletta per spostarsi ed esplorare il circondario di Monza e Brianza. Non ho mai amato la velocità ma ho sempre apprezzato la libertà che permette al ciclo amatore di scorrazzare con il vento sulla faccia. Dai quattordici ai diciotto anni ho posseduto due modelli Piaggio, un "Sì" rosso ereditato da mia sorella ed un "Ciao" bianco di dubbia provenienza comprato usato da un rigattiere, prima avevo fatto pratica a bordo di un Garelli Gulpflex di mio nonno del quale ho già parlato qui sul blog. Quando la moda degli scooter iniziava a prendere forma ebbi la sventura di possedere uno dei modelli più desiderati, un Peugeot Metropolis che mi fu letteralmente rapinato da due ceffi armati di coltello. Quando avevo già la patente per la macchina comprai uno scooter a ruota alta, un'estate ci andai anche all'isola d'Elba. Era un MBK "Flipper" con cui ho fatto anche il pony express a Milano percorrendoci più di diecimila chilometri in un anno. Con il gruppo Primodraft scrissi anche un testo su quell'esperienza, una canzone rimasta inedita intitolata appunto "Km".

La Vespa mi ha sempre attratto, la sua linea, la storia, il legame e la rivalità con la Lambretta, i modelli pieni di personalizzazioni nel film Quadrophenia, il cambio al manubrio, quel rumore inconfondibile che riconoscevo fin da piccolo quando Ottavio, un muratore alcolizzato di Marciana Marina faceva gli appostamenti vicino a casa nostra per portare a fare un giretto mia sorella della quale era perdutamente innamorato. Un giorno di maggio ho deciso di regalarmene una, la replica esatta del modello "PX 125" tanto famoso negli anni '80.

Una volta targato il nuovo mezzo mi sono immerso nel variegato mondo dei Vespisti, quale modo migliore poteva esserci se non partecipare subito ad un raduno?

Il raduno Vespa in Pista 2015
L'esperienza di far parte di un un club di appassionati è per ora qualcosa di straordinario. Ci si conosce da poco ma è come se si fosse amici da sempre solo per il fatto di possedere lo stesso mezzo di locomozione. Non ci sono limiti all'immaginazione, una volta entrati in contatto con questa realtà sembra difficile uscirne come se muoversi in Vespa fosse sinonimo di appartenere incondizionatamente a un mondo unico e speciale.

Con i miei vicini di casa Nadia e Marco e i suoi genitori possessori di modelli originali degli anni '60

lunedì 1 giugno 2015

Stagione 2014/2105


Questa è stata l'Equipe '83 nella stagione 2014/2015 anche se in questa foto mancano una manciata di giocatori molto rappresentativi. Ho passato un anno divertente rimettendoci solo un tendine estensore (dito medio mano sinistra) che mi ha imposto un mese abbondante di stop da metà novembre fino a Natale. Statisticamente, visto il livello del campionato al quale abbiamo partecipato (UISP),  dedicato non proprio all'agonismo ma più al dopo lavoro per i poco giovani, è andata meglio rispetto alla scorsa stagione dove avevamo preso decine e decine di sberle nel campionato FIP. Abbiamo concluso il primo girone a metà classifica e abbiamo ripetuto il risultato nel secondo raggruppamento. Un saldo annuale complessivo con 11 vinte e 16 perse. Tante partite sono state combattute, altre molto meno. Mi piace ricordarne una in particolare, la gara vinta contro una squadra di Sesto san Giovanni chiamata CRCG. Ero appena uscito dall'ospedale e avevo una voglia di giocare strepitosa, avevo apprezzato nei giorni del ricovero l'affetto di molti compagni squadra e in quella gara molto nervosa disputata contro avversari spigolosi che cercavano la rissa in ogni contatto ho fatto il mio rientro in campo segnando con rabbia i primi sei punti dedicandoli tutti alla panchina che esultava felice per me. Il ricordo di quel match è raccontato in cronaca che incollo qui sotto, tratto dal sito della UISP.

venerdì 15 maggio 2015

Pocket @ Biko, Milano

Il terzo dei concerti che abbiamo fatto in maggio è il più atteso, uno di quelli dove non ci pagano ma sorridendo tra noi diciamo che va fatto perchè: "ci da visibilità". Suoniamo di supporto a Chadwick Stokes che io non so nemmeno chi sia e tantomeno che musica suoni, non mi sono documentato. Quando arrivo al Biko per l'ora di cena non posso fare a meno di notare un enorme Tour Bus parcheggiato di fronte al locale. Ne ho già visti di così grossi quando ho suonato di supporto a Graham Coxon, ai Franz Ferdinand, agli I am Kloot, mai in altre occasioni importanti. So che Chadwick suonerà da solo, senza la band, viene automatico chiedersi cosa se ne faccia di tutto quello spazio e quanto debba essere popolare per avere quel budget a disposizione. Fonti informate dicono che un autobus di quelle dimensioni costa 400 euro al giorno escluso il costo dell'autista e del carburante. E' la sera in cui la Juve si gioca il ritorno della semifinale che la puo' portare dritta alla finalissima di Berlino, le strade sono deserte e dopo aver cenato nel locale con tutto lo staff del Biko preparo il set di batteria che l'organizzazione mi ha messo a disposizione.

Il set utilizzato al Biko, 14.05.2015


Il palco del Biko è piccolo e stretto, ci abbiamo già suonato un anno fa di supporto ad Adam Green e in quella occasione mi sono reso conto di quanto il pubblico che frequenta questo locale sia attento, selezionato. Ti senti gli occhi addosso e la vicinanza delle persone incute un po' di timore. Passeggio fuori dal locale e gli spettatori arrivano alla spicciolata, entrare costa 15 euro, non poco per un mercoledì sera. Temo che la serata sarà un flop tremendo e quando inizia il primo artista, Matteo aka 'Morning Tea' l'unico pubblico che si ritrova davanti sono i Pocket Chestnut, una manciata di nostri amici che sono venuti presto per sentirci e lo staff del Biko. Quando arriva il nostro turno il locale si è riempito per metà e siamo contenti che di fronte a noi non ci sia il deserto. Nel backstage abbiamo conosciuto Chadwick, parla lentamente, ha dei modi carini si comporta con rara gentilezza che lo distingue dall'insopportabile tour manager. Chad ci ha chiesto qualcosa della nostra musica, ha ascoltatom il soundcheck e ci sommerge di complimenti. Ci ha raccontato che sta girando con tutta la sua famiglia, suo fratello, mamma, nonna, la moglie e due figli. Per questo si muove con il tour bus, gli costa meno rispetto ai soggiorni in albergo e così possono stare tutti insieme durante gli spostamenti. Facciamo un set corto di circa quaranta minuti e Tum riesce ad instaurare un bel rapporto col pubblico. Durante l'ultima canzone lascia il palco, si siede in mezzo alle persone e le fa cantare al microfono. Lo ha fatto altre volte ma in questa occasione gli riesce particolarmente bene. Quando abbiamo finito smonto velocemente  le mie cose e le carico in macchina, qualcuno mi ferma per complimentarsi, mi fa piacere anche se credo di aver suonato in maniera scolastica, senza emozione. Pago il prezzo della sobrietà, niente svolazzi, faccio il mio compito da bravo scolaretto. Mi fermo ad ascoltare Chadwick,  è veramente bravo, comunica con sincerità, si emoziona e fa emozionare.

Chadwick Stokes

Qualche giorno dopo vado alla festa di compleanno di Paolo, un amico dei Pocket che vive in un bellissimo appartamento in via Foppa a Milano. Molti degli invitati sono venuti a sentirci in tutti e tre i concerti, li conosco solo di vista e in quell'occasione riesco a parlarci andando oltre i semplici saluti di rito. Mi confidano che il concerto del Biko è stato bellissimo, il migliore dei tre, mi dicono che si è percepito qualcosa di magico che negli altri live non era emerso. Ancora una volta sono sorpreso di come le sensazioni di chi sta sul palco possano essere così diverse rispetto a chi è dall'altra parte e di quanto sia bellissimo dopo tanti anni e centinaia di concerti emozionarsi ancora nell' avere questo tipo di rivelazioni.

Paolo e Pol appena terminato il soundcheck

     

domenica 10 maggio 2015

Pocket @ Cascina S. Ambrogio, Milano

Ieri mi attendeva un doppio impegno, il rientro al lavoro dopo un mese di assenza e un concerto serale con i Pocket Chestnut alla Cascina S.Ambrogio, un luogo storico che ricorda Milano com'era una volta prima della cementificazione massiccia delle zone periferiche.

Cascina Sant'Ambrogio, Milano. Foto di Ambrogio Holder

 Se il rientro in concessionaria è stato abbastanza traumatico si puo' dire che la serata l'abbia vissuta con uno stato d'animo opposto. Al mattino provavo a grattare la ruggine dentro la testa, non mi ricordavo le password di accesso ai programmi, i passaggi più semplici per iniziare un preventivo sembravano scogli insormontabili e una mole impressionante di e-mail da leggere contiribuivano a crearmi un certo stato di agitazione che provavo a combattere con il metodo che ho messo a punto in qualche proficuo incontro di coaching. Si lavora con la testa, ci si concentra sulla mente, da essa dipendono, a cascata, le emozioni, quindi le relazioni, il fisico e lo spirito. Ho provato a gestire l'ansia con una fatica immensa che mi ha portato all'ora di pranzo ad alzare bandiera bianca e tornarmene a casa abbastanza preoccupato promettendomi di riprovarci nuovamente lunedì. Il rientro doveva essere graduale e così sarà, mi dico. Il sole tramonta poco dopo le venti e quando arrivo alla cascina per montare la batteria porto con me il mio strumento e il mio corpo riposato grazie a qualche ora di sonno ristoratore che mi sono concesso nel pomeriggio. Sto molto bene, mi sento sicuro, sto sempre così quando ho il mio set, conosco i suoni, li rendo profondi, lunghi, caldi grazie a un accurato giro di accordatura.

L'accordatura del rullante

Ho il vantaggio che saremo l'unico gruppo in programma, la situazione ideale per trovare la tranquillità e fare un buon concerto. L'associazione Cascinet con la sua anima sonora denominata Hum ci accoglie bene, l'attrezzatura è minimale e il fonico si improvvisa ma riparano all'inesperienza con la gentilezza, ci assistono in tutto quello che serve. Dobbiamo suonare per più di sessanta minuti e non abbiamo preparato un set così lungo. Cioè lo abbiamo allenato ma temiamo che possa annoiare sorbirsi un'intera ora abbondante di acustic folk. Decidiamo di inserire in scaletta buona parte del primo disco "Bedroom rock n' roll" quasi tutto il secondo "Big sky empty road" due cover e due brani nuovi dei cinque che stiamo provando in questi mesi. L'area concerto si riempie e mentre passeggio nel campo circostante mi concentro e osservo la raffineria che confina con la cascina, le luci rosse al vertice della struttura circolare mi ricordano un aeroporto. Temevo che i tanti ragazzi arrivati in questa specie di centro sociale fossero lì per tanti motivi ma non per sentire i Pocket Chestnut e invece già alla seconda canzone il pubblico si avvicina al palco, collabora, partecipa ai cori, si diverte. Mi sento bene e quando arriva il momento dell'ultima canzone ne vogliono ancora. Ci congediamo molto soddisfatti e sono dello stato d'animo giusto per pensare che questa sobrietà che mi accompagna è proprio una gran figata.

La mia session custom e i Pocket durante il soundcheck
    

domenica 3 maggio 2015

Pocket@Bloom, Mezzago 02.05.2015

Per la "festa del lavoro che non c'è" il Bloom di Mezzago ha organizzato come da tradizione il Neverland Festival sottotitolando l'evento con il riuscito hashtag #cazzoridi. Alez, uno degli organizzatori, ha voluto i Pocket Chestnut e ci ha invitato con il solito entusiasmo che lo distingue. Il concerto ha significato per me il ritorno sul palco dopo un mese di inattività.


il programma del festival

Il mio sottotitolo personale della giornata è stato "la forza della lucidità" perchè da circa un mese complice il problema di salute di cui ho parlato in un post precedente sono pulitissimo, non bevo neanche la birra. Sono arrivato al Bloom in gran forma, molto "ripigliato" come dicono i giovani, ed ero curioso di vedermi all'opera in un contesto molto raccolto come il cinema dello storico locale brianzolo. L'organizzazione ha infatti voluto che i Pocket si esibissero al piano superiore del Bloom, sul palco che divide lo schermo del cinema dalle ottanta poltrone della sala. L'incognita era rappresentata dal pubblico, sapevamo che saremmo stati il primo gruppo ad esibirsi e il rischio di suonare per gli addetti ai lavori era elevato. Il festival ha abituato i suoi affezionati ascoltatori che i concerti iniziano presto e così mentre ci apprestavamo a salire per iniziare il nostro set di quaranta minuti scarsi un discreto gruppo di ragazzi era già li ad aspettarci.

Per sdrammatizzare l'emozione del ritorno sul palco indosso un cap dei Muppets


Il batterista dei Verbal che a tarda sera avrebbero sonorizzato il film "Karakorum" ha messo a disposizione una bellissima batteria perfettamente accordata e lo strumento è stato montato sul lato corto del palco per fare spazio alla proiezione. I fonici, simpatici, pazienti, disponibili e riconoscibili dal marcato accento bresciano, sono stati di una professionalità superiore alla media ed anche per merito loro il concerto, vuoi per le mie lucide condizioni, vuoi per l'acustica decisamente affascinante, è stato molto bello. Verso la fine del set ho notato che ormai il cinema si era completamente riempito ed è stato piacevole ricevere un convinto applauso finale e scendere da basso a godersi la soddisfazione del dopo concerto guardando suonare gli altri gruppi. La serata è scivolata veloce tra qualche complimento, alcune occhiate di approvazione e tanti bicchieri d'acqua.

   
On stage con Stefano (ormai presenza quasi fissa) al corno

martedì 28 aprile 2015

Viale Caprilli

A Milano è stata aperta  la fermata delle metropolitana "San Siro" e nei tanti servizi che ho letto in queste ore su questo tema ho trovato questa pagina di giornale. In occasione dell'evento un lunghissimo articolo sarebbe piaciuto scriverlo anche a me.

Il servizio della foto applicata sopra è del 1964, oggi grazie all'Expo la fermata per lo stadio è diventata realtà. Fa una certa impressione leggere come si fantasticava a quei tempi per questo progetto che avrebbe dovuto "decongestionare di colpo" gli ingorghi automobilistici. Nei primi anni '80 la giunta di allora impedì alle auto di arrivare davanti allo stadio dal lato nord, l'unico modo per arrivarci era aggirare l'ippodromo del trotto e giungervi da piazza Axum, un giro infernale da percorrere in coda col rischio di fare tardi e salire sugli spalti a gara già iniziata. Prima che un'altra giunta si inventasse con l'occasione dei mondiali del '90 di organizzare un servizio autobus gratuito chiamato "bus-navetta" l'unica opzione per chi arrivava da Piazza Stuparich era lasciare la macchina vicino al Palalido e avventurarsi a piedi. Si è disputato da poco l'ultimo derby tra Milan e Inter e la nuova fermata  della linea lilla inaugurata proprio il giorno seguente rispetto alla stracittadina sarà d'ora in poi finalmente utilizzata dalla maggior parte dei pigri sostenitori per arrivare a ridosso dei cancelli dello stadio Giuseppe Meazza. Mi è venuto in mente il lungo viale che porta all'impianto e a quante volte lo percorrevo per andare a vedere le partite ed a questo luogo avrei dedicato il mio articolo snobbando il crepuscolare metro. Non ho fatto un'accurata rassegna stampa ma credo che sarei stato quantomeno originale parlando dell'ormai "liberato" Viale Caprilli.

Questa strada tanto cara per altri motivi anche a Roberto Vecchioni fino al punto da ispirargli uno dei suoi più grandi successi (Luci a San Siro non parla di sport bensì delle prostitute che di notte affollavano Viale Caprilli negli anni '70) l'ho percorsa centinaia di volte ed ognuna era diversa dall'altra. La fermata della metropolitana più vicina per arrivare allo stadio dalla periferia nord prima appunto della nuovissima "San Siro" è in Piazzale Lotto a circa due chilometri e mezzo dal Meazza ed è stata fino ad oggi per molti "forestieri" l'unico modo per raggiungere lo stadio. "Lotto" sgorgava ogni domenica migliaia di tifosi in superficie riversandoli sul lunghissimo Viale Caprilli. Ricordo le lunghe camminate cariche di emozione prima dell'inizio degli incontri decisivi, l'interminabile viale alberato con le alte mura oggi adornate da bellissimi murales a recintare l'Ippodromo del galoppo dove qualche spavaldo si fermava a pisciare fregandosene del via vai di persone alle sue spalle, le bancarelle con le frittelle e i furgoncini carichi di bandiere e cuscinetti a litigarsi la posizione migliore sotto gli altissimi platani. Intorno a quel trambusto un'aria di tensione sospesa come la nebbia che aleggiava prima delle partite più tese e combattute era possibile non solo respirarla ma persino toccarla. Questo viale è stato spesso teatro di scontri tra i tifosi e c'era sempre da stare all'erta per chi in trasferta si presentava con sciarpe e vessilli in bella mostra.

Il lato opposto all'Ippodromo l'ho sempre trovato affascinante contraddistinto da larghissimi marciapiedi dove si praticava il posteggio selvaggio "riservato" a chi riusciva ad aggirare i blocchi dei vigili. Su quelle sponde era frequente avvistare qualche improvvisato parcheggiatore abusivo della domenica. Gli appellativi "capo" "dotto'" "paisà" "uaglio'" dipendevano dalla provincia leggibile sulle targhe. Qualche volta quando ero in anticipo rallentavo il passo e mi soffermavo a guardare le bellissime case affacciate sulla strada. Quasi tutte avevano le tapparelle abbassate oppure spesse inferriate a proteggere le abitazioni da quell'invasione di persone. Sono tutti condomini bellissimi e mi risulta che comprare una casa in quella zona sia sempre stato molto costoso nonostante questo evidente disagio domenicale e il degrado notturno che faceva di quel viale poco illuminato una zona poco raccomandabile per passeggiarci. Alla fine della lunga camminata il Meazza appare immenso, a chi lo vede per la prima volta puo' fare anche una certa impressione. A centinaia di metri da quel massiccio di cemento si riescono a udire i cori dei tifosi e se ci si sofferma a guardare attentamente le persone è impossibile non accorgersi che alla fine di viale Caprilli tutti sono emozionati e accelerano nervosamente il passo.

Ciò che non dimenticherò mai è percorrerlo al contrario nel tragitto di ritorno con il carico di gioia o di insoddisfazione a seconda di come era terminata la partita. L'aria si faceva rarefatta tra gli sbuffi di gasolio dei furgoni e il pensiero della settimana che stava per ricominciare sembrava un fumetto sopra le teste delle persone. Mi accodavo a qualcuno con la radiolina per sentire i commenti e i risultati dagli altri campi ed il viale che all'andata sembrava interminabile ma piacevole da percorrere diventava improvvisamente faticosissimo nonostante fosse in leggera discesa. Nessuno sposterà viale Caprilli con il suo carico di ricordi dentro la mia testa ma andare fin sotto lo stadio in metropolitana col beneficio della comodità non sarà più la stessa cosa. Spero che qualche nostalgico come me continui a sobbarcarsi quel tragitto così suggestivo, mi farà sentire meno solo a ricordare quanto era magico far iniziare l'emozione di assistere a una partita di calcio ben prima del fischio d'inizio.   



lunedì 27 aprile 2015

Un ex fantasma

Per qualche giorno il blog si è trasferito in un quaderno ed ha ripreso la forma originale del diario scritto su carta proprio come facevo venticinque anni fa. Il motivo è da ricondurre più che alla mancanza di una connessione alla voglia di lasciare scritta a mano un'esperienza che mi ha segnato e credo mi porterò dentro per il resto della mia vita. Negli ultimi anni il mio lavoro è molto cambiato, le grandi ambizioni della casa automoblistica per cui vendo i prodotti sono cresciute smisuratamente, dobbiamo essere sempre i numeri uno del mercato, la crisi economica nel Paese ha esasperato ogni cosa. Sono abituato da sedici anni a trattare quotidianamente con i clienti, ho una mia partita iva, vengo retribuito in funzione di quanto vendo e come vendo, non ho un fisso mensile, non ho ferie pagate, non ho malattia pagata, non ho tfr, lavoro il sabato, ogni tanto anche di domenica. Sono un'azienda nell'azienda, una concessionaria di automobili. La mia professione è mentalmente faticosa, massacrante per cio' che riguarda le performance da mantenere e le continue valutazioni che ne conseguono, ma ho un lavoro e di questi tempi non è poco. Lo difendo con i denti questo mio lavoro, ne vado fiero, amo fottutamente quello che faccio più di me stesso e fin da quando ero poco più che un ragazzo mi impegno in maniera inflessibile per migliorarmi ed imparare nuove cose di quel mondo fantastico che non è mai routine perchè ogni persona è diversa dall'altra. Svolgo le mie mansioni con la stessa umiltà con cui ho iniziato il primo di tanti giorni fa. Cerco di adeguarmi a come si evolve il mercato, lo faccio con abnegazione, non mollo anche nei momenti di maggior sconforto, vivo -qui e ora- tutte le situazioni, non penso al domani, mi reinvento ogni mattina, provo a scoprire nuovi approcci e a scardinare le abitudini. Sono onesto.

 Circa due anni fa inizio a sentire che ci sono momenti in cui mi sento solo, non mi riconosco con l'operato dei colleghi, sento che le mie idee per migliorarci non sono ascoltate, vedo i clienti che cambiano e io non riesco ad adeguarmi rapidamente, quando trovo il modo è già troppo tardi. Cerco ma non ottengo il conforto e gli stimoli nei manager che ci coordinano, mi ripetono che le motivazioni me le devo trovare da solo. Accumulo soldi ma non ho tempo di spenderli. Il mercato si fa sempre più incasinato, entro ogni giorno nel tritacarne ma vado avanti. Alcuni giorni sono brillanti e luminosi come lo erano una volta, altri sono tremendente bui e tempestosi. Inizio a dormire poche ore, nel non riposo mi sento male, la schiena, il basso ventre, il collo mi tormentano. Qualche notte le gambe si irrigidiscono come due remi.  Mi sveglio nel cuore della notte perchè faccio brutti sogni, penso ai clienti come nemici, salto la colazione, a pranzo e a cena mangio poco e male, sento lo stomaco che si contorce, accumulo rabbia, tristezza, paura e sensi di colpa. Un mese fa alle tre del pomeriggio, tra un cliente e l'altro vado in bagno. Apro la porta la richiudo a chiave dietro di me con un gesto meccanico. Appoggio la giacca all'appendino e inizio a sentire che le pareti si avvicinano fino a schiacciarmi, mi sudano le mani, poi la schiena, le ascelle inziano a gocciolare sudore freddo, sento lo scorrere lento del sudore ghiacciato come lacrime lungo i fianchi. Vedo offuscato, poi non ho più niente di fronte a me. E' tutto nero, per qualche secondo non riesco a capire dove sono. Si bloccano le braccia, le sento rigide, non riesco a piegarle, le dita delle mani sono rapite da un fastidioso formicolio che parte da sotto le unghie e arriva fino alle nocche. Non riesco a riaprire la porta, mi tremano le gambe. Mi siedo sul water senza abbassarmi i pantaloni, devo fare pipì ma non riesco a sbottonarmi,  mi sento risucchiare verso il basso, in bocca ho un sapore strano, acre, assomiglia al succo di pompelmo. Sulla lingua avverto la stessa sensazione che si prova quando da bambini si appoggiano le labbra inumidite sulle pile. Vorrei tossire ma non ci riesco, mi manca il respiro allungo le braccia verso la serratura, riesco ad aprirla e mi sento sollevato, sono salvo. Rimango un po' seduto sulla tazza del water poi mi alzo lentamente ed esco dalla porta. Mi gira la testa ma inizio a sentirmi meglio. Avvicino il mio corpo ai lavandini per sciacquarmi la faccia, penso ai risultati delle vendite, alla chiusura del trimestre, a come sono messo in classifica. Quando mi asciugo incontro il mio sguardo nella grande specchiera che ricopre tutta la parete. Per avere riconoscimenti bisogna riconoscersi. Non mi riconosco, sembro un fantasma. Anche a casa, negli specchi, la mia immagine riflessa appare deformata. 

Vado a farmi delle analisi, dopo qualche giorno torno a prenderle e mi faccio accompagnare dal medico perchè ho paura di andarci. Prendo degli impegni ma non li rispetto, preparo la borsa per andare agli allenamenti ma prima di uscire mi blocco e resto a casa. Fisso le prove con il gruppo, arrivo davanti alla sala prove ma decido di tornare a casa, vado al lavoro ma quando entra un cliente mi nascondo per non parlarci. Racconto al dottore cosa mi succede in maniera confusa, lui legge le analisi e dice che non vanno per niente bene, bisogna fare degli accertamenti. Mi manda da uno specialista che mi ascolta e decide di ricoverarmi. Accumulo di stress lavorativo, attacchi di panico, ansia, mancanza di ferro, calo vitaminico, pressione molto alta. Resto in ospedale dieci giorni e sul diario scrivo giorno per giorno le mie sensazioni, le terapie, le persone del reparto, gli infermieri. Scrivo degli operatori socio sanitari, dei medici, dei pazienti. Mi danno delle vitamine al mattino dopo la colazione, poi prima di pranzo e infine durante la cena. Mi fanno delle flebo e ogni giorno oltre ad un colloquio di circa 1h e mezza con un medico mi sottopongono ai più svariati esami. Sangue, urine, elettrocardiogramma, pressione, risonanze, TAC. Mando una comunicazione scritta ai miei titolari ed ai colleghi, per un mese non andro' al lavoro. Inizio un percorso di ricostruzione, allontano tutte le cattive abitudini e noto i progressi giorno dopo giorno. Gli esiti degli esami ecludono tutte le patologie più gravi. Al mattino quando mi lavo nel piccolo bagno della camera ascolto gli Sparklehorse, l'album intitolato "Good morning spider" che Mark Linkous ha scritto quando era ricoverato in clinica dopo un tentato suicidio. Ogni giorno mi sento sempre meglio, recupero le energie fisiche e lavoro per ritrovare quelle mentali. Ci sono giorni in cui mi sento più giovane di venti anni. Intorno a me sento un affetto che ha dimensioni immense. Mi scrivono amici, colleghi, compagni di musica e di squadra. Non rispondo mai e questo silenzio non fa altro che incrementare la loro corrispondenza. Permetto ai miei genitori, mio fratello e ovviamente a mia moglie di venirmi a trovare in reparto. Quando arrivano scendiamo nel parco della clinica, facciamo delle lunghe passeggiate e parliamo molto. Ho l'opportunità di dire a mio padre delle cose che desideravo dirgli da anni ma non trovavo mai il coraggio di farlo. Spesso mi capita di piangere, distribuisco abbracci forti, la mia testa impara a pensare di nuovo positivamente. Mi abituo a bere tre litri di acqua al giorno, quando mi guardo allo specchio ho un viso disteso, gli occhi sono vivi, brillano,  sono meno scavato e niveo rispetto a un mese fa, l'alito non è più pesante, respiro bene, ho molto appetito, mi sento vivo. Sono rimasto ricoverato a Ville Turro dal 7 aprile fino alla mattina del 17. In quei giorni il sole è sempre stato presente, alto, caldo come in estate. Il giorno in cui mi hanno dimesso invece pioveva in modo fitto. Quelle goccioline hanno lavato il malessere trasformandolo in benessere restituendomi al mondo dei sani. Mentre scrivo sono a casa da nove giorni, vado in bicicletta, faccio lunghe camminate al parco, ho ricominciato a giocare a basket e a suonare, leggo molto, faccio giardinaggio, mi riprendo la mia vita. Dormo grazie all'aiuto di un basso dosaggio di quietiapina e ho iniziato un percorso di coaching per rientrare al meglio nell'ambiente di lavoro.


Il diario che ho scritto durante il ricovero

 
Il primo giorno in ospedale
 
Il rientro a casa accolto dalla fioritura del glicine

lunedì 30 marzo 2015

2005-2015 I dieci anni di "Join the cousins"


la cover di Join the cousins

 Il nove marzo del 2005 in via Cadolini, a Milano, nel locale chiamato Goganga, i Kech presentavano di fronte a un centinaio di persone il loro secondo album, il primo pubblicato con l'etichetta fiorentina Black Candy Records. "Join the cousins" non è forse il miglior disco in cui ho suonato ma è senza dubbio quello a cui sono più affezionato ed è il disco per cui ognuno dei Kech aveva una grande aspettativa. E' vero che nessuno di noi aveva la minima ambizione di fare il musicista e vivere con i proventi di questo lavoro ma è altrettanto vero che essere stati desiderati e scelti da un'etichetta molto ambiziosa che oltre ad accollarsi le spese della registrazione voleva fare "le cose in grande", aveva suscitato in noi un discreto entusiasmo. Spinti da questa motivazione ogni membro del gruppo ci mise tutto l'impegno per realizzare al meglio quella registrazione. Nel post "Click & Friends" contenuto in questo blog racconto brevemente le suggestioni di quei giorni. L'ho riletto poco fa e questa celebrazione del decennale, questo piccolo lascito che faccio al blog di cui sono autore, mi fa ricordare soprattutto cosa non funziono'. Se del mancato uso del metronomo ne ho appunto già parlato ho voglia di spiegare cosa si era inceppato durante quella registrazione. Qualche anno prima di quel marzo del 2005 avevamo provato a fare un demo semi professionale al Bips Studio, uno degli studi più attivi a Milano negli anni '90. Un disco come "Germi" degli Afterhours solo per fare un esempio fu registrato proprio in quello studio. Il fonico che ci  aiuto' si chiama Max Lotti e si occupa ancora oggi di stare dietro a un mixer. Paolo Mauri, oltre ad essere amico di Max ci aveva lavorato a lungo in quelle stanze e aveva prestato la sua opera per band importanti in quel florido periodo, con qualche conoscenza comune eravamo entrati contatto con lui e senza nessuna particolare raccomandazione Mauri detto "Flistones" aveva espresso il suo parere positivo su di noi dando il suo consenso ad occupare il Bips consegnandoci fisicamente le chiavi dello studio. La registrazione a me piacque molto nonostante grandi rattoppi e soluzioni che nascondevano il vero spirito dei Kech (a quei tempi avevamo ancora le basi registrate su mini disc e un tastierista) la confusione generale spinse tutti i miei compagni di viaggio a decidere che quel suono non ci rappresentava quel demo quindi non andava pubblicato. Solo il brano "Elettronic" finì in fondo alla tracklist del nostro primo ep "A lovely place". Avevamo lasciato un conto in sospeso col lavoro che aveva fatto Max e anche lui, per certi versi, lo aveva con noi. Ci teneva che il suo nome e le sue capacità uscissero stampate su un album di una band che a suo modo diceva di apprezzare ed era arrivato il momento di dimostrarlo. Mi fa sorridere parlare oggi di pressione nei confronti di quel traguardo da raggiungere ma a quei tempi è corretto definire con quel termine l'aria che si respirava fin dai primi minuti in cui entrammo in studio, non più al Bips ma -sempre a Milano- al JRS studio in un seminterrato in zona Piazzale Corvetto.

Max Lotti il fonico di Join the cousins

Tre quarti delle dodici canzoni che componevano la tracklist di JTC le avevamo rodate in almeno ottanta concerti, molti degli amici che ci seguivano dal vivo erano stufi di sentirle e anche noi di suonarle. In poche parole stavamo producendo un disco già sentito e risentito. La padronanza con cui suonavamo quei brani, la dimestichezza con le strutture che sostenevano le canzoni, ci rendeva sicuri dei nostri passi ma all'ultimo momento decidemmo di includere quattro brani che stavamo mettendo a punto da poche settimane e che non avevamo quasi mai eseguito dal vivo. Si trattava di: The Cousins, I don't need one, Wine is fine e Half Jealous. La prima e l'ultima di queste quattro aprivano e chiudevano il disco. Se per Half Jealous (il titolo fu ispirato da Giovanna dal piccolo registratore d'epoca che usava in sala prove per ricordarsi le melodie chiamato Gelosino) il lavoro coordinato da Marco Ferrara ebbe i suoi problemi di cui ho già parlato in "Click & Friends" per le altre facemmo l'errore di essere troppo precipitosi nel misurarci con la registrazione di canzoni che, anche se non erano più bozzolo, non erano ancora diventate farfalla. Perdemmo molto tempo per farle rendere in maniera decente e il fatto di aver scelto di partire fin dal primo giorno proprio da quelle tracce ci fece perdere ore e giorni preziosi scoraggiandoci rapidamente. Nessuno di noi aveva una grande considerazione delle proprie capacità, effettivamente modeste, e quella che doveva essere una manciata di giorni da ricordare allegramente in un contesto professionale divenne lo spunto per essere sempre più nervosi e per rinfacciarci, una volta concluso il lavoro, le scelte sbagliate fatte in quelle ore di riprese. Max non aveva le doti del coach e con i suoi silenzi e le sue perplessità inespresse non fece altro che aumentare la nostra insicurezza. Ma come, le canzoni le sappiamo a memoria e ora ci facciamo prendere da tanti dubbi e da scelte mal condivise? Accadde proprio questo e nei giorni in cui incidemmo l'album una ballata country abbastanza spedita e convincente come Clifford si presentò alle nostre orecchie con un' andatura claudicante, le nervose e graffianti 44 times (ricordo ancora che Andrea Dusio su Rockerilla definì il mio drumming 'ruggente') e Dinner Guests che spesso usavamo per scuotere il nostro set dal vivo divennero incerte, le parti che distinguevano la strofa dal ritornello sembravano appiccicate con la colla. La danzereccia Pop Team che frequentemente sceglievamo per aprire i concerti finì caramellata dai tanti effetti applicati al banco, l'anonima In a basement fu messa lì a far numero, il bel pianoforte a coda registrato con gusto in post produzione da Tonnie, il nostro bassista dei tempi, confusero l' idea alla base della spiritosa Nu Beetle. Tonnie, al secolo Tommaso Perego il nostro sognante e unico vero musicista,  cugino di Nicola, coinvolse attivamente in studio anche il trombettista che da più di un anno ci aiutava e caratterizzava dal vivo, Davide Marzocchi, un amico taciturno ma anche sempre pronto alla battuta se opportunamente stimolato. Tonnie e Nicola, i cugini, due teste diverse che solo a parole avevano, in studio e nella vita, gli stessi intenti. Il titolo dell'album l'ho proposto io a Giovanna e piacque a tutti in seguito ad un equivoco. La canzone The Cousins iniziava con una strofa in cui Giovanna diceva un termine diverso ma simile nella fonetica alla parola cousins e io che conosco poco l'inglese fraintesi non solo il senso del termine ma anche di tutto il testo. Mentre aspettavamo di suonare ad un festival in provincia di Grosseto, di fronte a un piatto fish & chips, le dissi: "figo quando citi i cugini nella nuova canzone". Lei scoppio a ridere e racconto' quello che le avevo appena detto a tutti gli altri che erano a testa china sul loro piatto di fritto. Io rimasi un po' perplesso e replicai: "Cousins! Perchè ridete? Scusate l'ignoranza, ma in Inglese cugini non si dice mica Cousins? Join the cousins! Unisciti ai cugini! No?". Altre risate generali: preso.

il registratore Geloso

Di quella tracklist ricordo come ben riuscita la sesta traccia intitolata Uh-Uh perchè nei cori facevamo appunto quel verso da scimmie. Nei crediti viene attribuita a Marco Ferrara una collaborazione su quel brano, in realtà più che un contributo al basso ci diede la giusta iniezione di fiducia per farci capire che la strada era giusta e con la terminologia appropriata ci insegno' l'importanza di quelle cose che si chiamano tra gli addetti ai lavori:  intro,climax, bridge, fill, loop, special. Noi fino ad allora li avevamo sempre non chiamati dicendoci confusamente: "quando si arriva in quel punto lì si fa così, quando poi siamo in quel passaggio là facciamo questa cosa qua". Coldground è la mia preferita dell'album e per questo motivo merita un discorso a parte e funge da bandiera piantata sul terreno conquistato dopo una lunga e sanguinosa battaglia. Fino all'inizio del 2004 i Kech non avevamo mai scritto un brano lento, rilassato, una canzone che definirei dolce, senza spigoli. Arrivo' il momento di comporla ed io ero in una fase di totale invasamento per le ritmiche e le atmosfere dei Coldplay. E' proprio grazie a questo gruppo che le è stato affibbiato questo il titolo, per anni sulle scalette c'era sempre scritto Coldplay al posto di Coldground. Comporla e realizzarla fu una fatica immensa in sala prove, io acceleravo in maniera imprevedibile e poco puntuale ed il fatto che non fosse proprio il nostro territorio abituale rendeva molto ripido il percorso da fare. Io avevo stampata in mente la potenza percussiva del brano dei Coldplay "In my place" e facevo un casino bestiale sul charleston. Riuscimmo a definire la struttura, ad allenarci su quelle atmosfere ma fino all'ultimo momento non era certo che quel brano finisse nel disco. "C'entra come il cavolo a colazione" diceva Nicola confondendosi con la merenda, a dire il vero lui insisteva con questo motto modificato a dovere. Diceva: "no, no, colazione, così vi fate tutti un'idea precisa di quanto è sgradevole". Alla fine a Max non era dispiaciuta ascoltandola nei provini e ci disse: "vediamo come viene, se fa schifo la bocciamo".Coldground fu l'ultima canzone ad essere registrata e tutta l'idea romantica che avevo io per vivere i giorni in studio si palesò tra quelle mura alle due di un sabato pomeriggio. Io rompevo le scatole perchè volevo creare l'atmosfera, cercare di scaldare l'ambiente con qualche dettaglio, mi perdevo in mille cazzate che però si rivelarono utili per la registrazione di Coldground. Ci tenevo che si mangiasse al ristorante tutti insieme, che si facessero i brindisi, che nella pause si mangiassero insieme dolcetti e bon - bon, liquirizie, marzapane, che ci si attrezzasse con un thermos di caffè, tutte cazzate in effetti ma che nella mia ingenuità potevano servire per creare il collante e vivere meglio e con leggerezza quei momenti. Spingevo per fare delle sovraincisioni. Venivo garbatamente snobbato con la scusa che si stava solo perdendo tempo. Andammo a pranzo in un ristorante cinese vicino allo studio e il clima era festoso, rilassato, avevamo praticamente finito tutte le riprese di batteria e per via delle oscillazioni del ritmo avevamo aggiunto con fatica il basso suonato in regia. Con molta cura avevamo finito tutte le chitarre, le voci, i cori. Max aveva già iniziato un pre mix e il suono dello studio paragonato al disco precedente fatto in cantina (Are you safe?) faceva una gran figura. Restava solo Coldground da registrare, probabilmente non sarebbe nemmeno finita nel disco e quindi i giochi erano praticamente fatti. Tornammo in studio appesantiti dal cibo cinese e intorno a me iniziavo a vedere i segni dello smontaggio generale. Chiesi a Max di abbassare  le luci che illuminavano la stanza di ripresa. Erano una decina di faretti alogeni sparsi disordinatamente in tutta la stanza, lui smorzo' il dimmer fino quasi a spegnerle. Suonammo batteria, basso e chitarra acustica nelle penombra praticamente in diretta con Giovanna che ci cantava in cuffia dalla regia. Max mi fece fare delle sovraincisioni di piatti. Il brano venne al primo colpo e risulto' anche senza particolari oscillazioni di velocità. Erano bastati piccoli accorgimenti e un senso di leggerezza come uno spirito che veleggia nell'aria uscito da una lampada. Era uscito il genio contenuto nel disco. Pensai che avremmo dovuto rifare tutte le canzoni in quel pomeriggio e lo proposi con un tono a metà tra il serio e il faceto. Dentro di me ero convinto di quello che avevo appena proposto ma ovviamente fu impraticabile. Smontammo tutto e ce ne andammo in attesa di tornare dopo qualche settimana per fare tutti i mix definitivi.

Una delle foto più utilizzate a quei tempi con la band al completo, in fondo Davide Marzocchi e Tommaso Perego


Caparezza in quel periodo cantava "il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista" e Join the cousins rappresenta perfettamente quella strofa. La stampa specializzata non recensì bene il disco come era invece successo con il precedente. La rivista Rumore solo per fare un esempio ci stronco' con decisione. Ho sentito dire spesso a tanti artisti veri che se tornassero indietro registrerebbero da capo e in modo diverso anche i successi che hanno fatto la loro fortuna. Io pur non considerandomi artista mi accontenterei di rifare JTC in quel pomeriggio dopo il pranzo al ristorante cinese. Ci furono anche delle cose buone, quell'album e la spinta della Black Candy in rapida espansione permisero ai Kech di entrare nel booking della Dna Concerti, una delle agenzie più attive in quel periodo, ci consentì di  fare alcune esperienze indimenticabili come suonare sul palco dell'Heineken jammin' festival a Imola e suonare a Urbino di fronte alla fortezza Albornoz per il festival Frequenze Disturbate subito prima di gruppi come Sons & Daughters, Sophia ed Echo & The Bunnymen. Suonammo dal vivo in alcuni programmi televisivi da MTV a Match music fino a Rock tv. In qualche occasione soggiornammo spesati in alberghi a quattro stelle. In quegli anni si cementò l'amicizia che mi porta ancora oggi sul palco con Davide, ci definivamo i manovali del gruppo quelli addetti al carico e allo scarico degli strumenti, alla guida del furgone durante gli spostamenti più lunghi e faticosi e a fare delle lunghissime chiacchierate al telefono quando qualcosa non andava per il verso giusto. Nicola e Giovanna, per scherzare, li chiamavamo simpaticamente gli Eurythmics. Join the cousins è l'unico disco della nostra breve produzione dove la timidezza nel presentarci passò in secondo piano. Realizzammo noi stessi l'artwork che poi fu sfacciatamente copiato da un gruppo brianzolo, i Grenouille. Nel booklet mettemmo le nostre foto e quelle degli amici più stretti che ci seguivano assiduamente, aggiungemmo i ringraziamenti ed anche un paio di testi. Stampammo locandine in quadricromia, dei biglietti da visita con la data della presentazione e un caldendario sul retro e nella data zero allestimmo un banchetto che era apparecchiato con il seguente merchandising: un ep, due album, uno split in 45 giri (co - prodotto con la Excelsior - etichetta olandese che produceva i Caesar- da un lato il brano Pop Team e dall'altro la canzone intitolata Alcatraz fino ad allora un inedito per il gruppo olandese) due tipi di magliette, decine di spille diverse, adesivi col nome del gruppo. In una sera vendemmo tutto il materiale incassando da quella merce il triplo rispetto al cachet che avevamo pattuito e quella stessa notte andammo a letto sognando di avercela fatta. 
la cover dello split Kech/Caesar, Pop team-Alcatraz